La Storia del Karate

Karate (karate, pronuncia italianizzata in karàte o karatè) è un'arte marziale sviluppata nelle Isole Ryukyu, (oggi Okinawa), in Giappone. Nato come arte marziale che insegna il combattimento e l'autodifesa, con il tempo il Karate si è trasformato in filosofia di vita, in impegno costante di ricerca del proprio equilibrio, in insegnamento a "combattere senza combattere", a diventare forti modellando il carattere, guadagnando consapevolezza e gusto nella vita, imparando la capacità di sorridere nelle avversità e di lavorare con determinazione e nel rispetto degli altri.
Karate – Letteralmente significa "arte della mano vuota"
Kara significa aperto, spazio vuoto, immagine del vuoto. Te è la rappresentazione di una mano, ma è anche il fonema di attività, di tecnica e di arte.
Questi concetti suggeriscono che il praticante di Karate dovrebbe allenare la propria mente affinché sia sgombra, vuota da pensieri di orgoglio, vanità, paura, desiderio di sopraffazione; dovrebbe aspirare a svuotare il cuore e la mente da tutto ciò che provoca preoccupazioni, non solo durante la pratica marziale, ma anche nella vita.
Possiamo riassumere che il karate è un'arte; una disciplina che si applica a mani nude, di origine giapponese e che rafforza il corpo e lo spirito.
"Come la superficie di uno specchio riflette qualunque cosa le stia davanti, così il karateka deve rendere vuota la sua mente da egoismo e debolezze, nello sforzo di reagire adeguatamente a tutto ciò che potrebbe incontrare." G. Funakoshi

Esistono molteplici stili di karate (circa 17) di seguito ricordiamo i più conosciuti

  • Shotokan, il più diffuso, deriva dal maestro Funakoshi; e prevede, oggi, molte varianti. Alcune scuole, infatti, hanno un'impostazione tecnica completamente diversa dalle altre.
  • Shotokai, di Shigeru Egami, simile allo Shotokan ma molto morbido e senza agonismo; enfatizza al massimo la postura corretta, l'utilizzo delle anche e il kokyu e l'irimi per vincere senza impiego e senza spreco di forza come nell'Aikido;
  • Goju-Ryu, stile mantenuto tale fin dalle origini, tutt'oggi praticato ad Okinawa. Nasce dal Naha-te, il cui primo Maestro fu Kanrio Higahonna che visse per moltissimo tempo nel Fukien in Cina. A raccogliere l'eredità di Higaonna e fondare lo stile Goju-ryu fu il maestro Chojun Myagi.
  • Shorin-ryu, scuola che deriva dallo Shuri-te trasmessa per tramite del maestro okinawense Chotoku Kian. A questa scuola si ricollegano lo Shito, Uechi e Kushin. I gruppi Shorin-ryu attualmente componenti della Federazione di Karate-do di Okinawa sono: Shorin-ryu Kyudokan (kobayashi), Shorin-ryu Matsubayashi, Ryukyu Shorin-ryu, Matsumura-seito-Shorin-ryu, Shorinji-ryu. Ognuno di questi gruppi è legato da generazioni a una famiglia okinawense di riferimento ma tutti si possono definire come Karate stile Shorin-ryu. Si può forse definire lo stile maggiormente presente sull'isola di Okinawa e più legato alla tradizione insieme al Goju Ryu.
  • Wado-ryu, questo stile si basa sugli insegnamenti del maestro Hironori Otsuka; il quale fuse lo Shindo Yoshin Ryu JuJitsu con il karate di Okinawa e introdusse il moderno concetto di kumite. Wado Ryu letteralmente significa: "La scuola della Via della Pace". L'ideogramma "WA" assume tuttavia anche il significato di "armonia" poiché più vicino alle caratteristiche dello stile che è considerato uno dei migliori sistemi di difesa personale. Le posizioni sono molto alte, morbide e si pone l'accento sulla velocità e la fluidità sia dei colpi che del corpo. Il Wado Ryu, ad un contrasto cruento, preferisce utilizzare schivate e taisabaki per controllare e accompagnare il colpo dell'avversario così da sbilanciarlo e lasciarlo scoperto ad una serie di contrattacchi rapidi e dirompenti. La sua caratteristica principale è inoltre il vasto bagaglio di Jujitsu per cui a tecniche di percussione si accompagnano proiezioni, leve articolari, strangolamenti e sbilanciamenti. Predilige una distanza medio-corta.

LO STILE SHOTOKAN

Lo stile Shotokan attinge dalla tradizione dello Shuri - Te, conservando e codificando 26 Kata (escludendo 3 kata "preliminari" considerati propedeutici). Quindici di questi, considerati la base dello stile, derivano dalle modifiche apportate a scopo didattico dal Maestro Yasutsune "Anko" Itosu, allievo del leggendario Sokon "Busho" Matsumura e a sua volta maestro di Gichin Funakoshi; si tratta, pertanto, di Kata rielaborati nei quali sono certamente visibili le connessioni con i Kata originari dello Shuri - Te, ma che tuttavia risultano profondamente diversi da questi ultimi, rappresentandone delle "stilizzazioni" didattiche successive e funzionali all'addestramento di allievi in età scolare. I quindici Kata rielaborati dal Maestro Itosu e ripresi dal Maestro Funakoshi sono: i cinque Heian (creati da Itosu con l'originaria dizione "Pin-An" e derivati dai kata Kanku); i tre Tekki (derivati dal kata Naifanchi, purtroppo andato perduto); Bassai-dai; Kanku-dai; Jion; Jitte; Empi; Hangetsu; Gankaku. Questi kata vengono talvolta definiti fondamentali (Heian e Tekki) e Sentei (i rimanenti). Altri preferiscono classificare Sentei gli stessi kata con l'aggiunta di Bassai-sho e Kanku-sho, eliminando Gankaku (che non è andato soggetto al processo di "stilizzazione" sopra citato), portando così i kata di base dello stile a sedici.
Tra i kata di specializzazione alcuni preferiscono considerare come una tipologia separata i kata Chinte, Meikyo e Wankan. Questi vengono talvolta classificati come hara no kata.
I kata tradizionali derivano da due tipologie stilistiche originarie, non inquadrabili in veri e propri stili:
Shorin e Shorei, l'uno caratterizzato da maggior agilità e velocità di spostamento, quindi più adatto ai combattimenti a lunga distanza, l'altro basato su tecniche potenti e posizioni stabili e quindi più adatto ai combattimenti ravvicinati. Una ipotesi accreditata è che i termini si riferiscano alle scuole dello Shaolin del nord e del sud, che in momenti diversi hanno fatto risentire la propria influenza sulle isole di Okinawa, culla del karate.
Lo Stile SHOTOKAN è uno stile di karate, sviluppato a partire da varie arti marziali dal Maestro Gichin Funakoshi (1868-1957) e da suo figlio, il Maestro Yoshitaka Funakoshi (1906-1945). Il Maestro Gichin Funakoshi è universalmente riconosciuto per aver esportato e diffuso il karate dall’isola di Okinawa all’intero Giappone, anche se alcuni importanti maestri, come Kenwa Mabuni e Chōki Motobu, vi insegnavano già il karate da tempo prima. Lo Shotokan è dunque uno degli stili tradizionali del karate, oltre a Goju-ryu, Shito-ryu, Shorin-ryu e Wado-ryu. Nonostante abbia avuto origine come un’unica scuola di karate, sviluppatasi all’interno della Japan Karate Association, al giorno d’oggi esistono parecchie organizzazioni indipendenti.
Shoto significa “fruscio nella pineta” (o più precisamente “onda di pino”) ed era lo  pseudonimo che il Maestro Funakoshi utilizzava per firmare le sue poesie ed i suoi scritti. La parola giapponese kan significa invece “casa” o “abitazione“, ed è riferita al dojo. In onore del loro Maestro, gli allievi di Funakoshi crearono un cartello con la scritta Shoto-kan che posero sopra l’ingresso del dojo in cui egli insegnava. In realtà il Maestro Funakoshi non diede mai un nome al suo stile, chiamandolo semplicemente “karate “. La pratica dello Shotokan è in genere divisa in tre parti: kihon (i fondamentali), kata (forme o sequenze di movimenti, ovvero un combattimento immaginario contro uno o più avversari) e kumite (combattimento). Le tecniche eseguite nel kihon e nei kata sono caratterizzate, in alcuni casi, da posizioni lunghe e profonde, che consentono stabilità, permettono movimenti forti e rinforzano le gambe. Le tecniche del kumite rispecchiano queste posizioni e movimenti al livello base, ma con maggior esperienza diventano più flessibili e  fluide.

Il Maestro Gichin Funakoshi espose i Venti Principi del Karate (o Niju kun), che costituirono le basi della disciplina prima che i suoi studenti fondassero la JKA. In questi principi, fortemente basati sul bushido e sullo zen, è contenuta la filosofia dello stile Shotokan. Essi contengono nozioni di umiltà, rispetto, compassione, pazienza e calma sia interiore che esteriore. Il Maestro Funakoshi riteneva che attraverso la pratica del karate e l’osservazione di questi principi, il karateka era in grado di migliorarsi. Molte scuole Shotokan recitano tuttora il Dojo Kun alla fine di ogni allenamento, per trovare e aumentare sia la motivazione che lo spirito.
Lo stesso Maestro Funakoshi scrisse: “Lo scopo ultimo del karate non si trova nella vittoria o nella sconfitta, ma nella perfezione del carattere dei partecipanti“. 

I venti punti fondamentali dello spirito del Karate insegnati dal maestro Gichin Funakoshi sono:

1. Il Karate comincia e finisce con il saluto.
2. Il Karate è mai attaccare per primi (Karate ni sente nashi)
3. Il Karate è rettitudine, riconoscenza, perseguire la via della giustizia
4. Il Karate è prima di tutto capire se stessi e poi gli altri
5. Nel Karate lo spirito viene prima; la tecnica è il fine ultimo.
6. Il Karate è lealtà e spontaneità; sii sempre pronto a liberare la tua mente
7. Il Karate insegna che le avversità ci colpiscono quando si rinuncia
8. Il Karate non si vive solo nel dojo.
9. Il Karate è per la vita.
10. Lo spirito del Karate deve ispirare tutte le nostre azioni
11. Il Karate va tenuto vivo col fuoco dell'anima; è come l'acqua calda, necessita di calore costante o tornerà acqua fredda .
12. Il Karate non è vincere, ma è l'idea di non perdere.
13. La vittoria giace nella tua abilità di saper distinguere i punti vulnerabili da quelli invulnerabili .
14. Concentrazione e rilassamento devono trovare posto al momento giusto; muoviti e asseconda il tuo avversario.
15. Mani e piedi come spade.
16. Pensare che tutto il mondo può esserti avversario .
17. La guardia ai principianti, la posizione naturale agli esperti.
18. Il kata è perfezione dello stile, la sua applicazione è altra cosa .
19. Come l'arco, il praticante deve usare contrazione, espansione, velocità ed analogamente in armonia, rilassamento, concentrazione, lentezza .
20. Fai tendere lo spirito al livello più alto.

PRINCIPI MORALI (Dojo Kun) 
 
Dojo Kun (Dō = via, jo = luogo) letteralmente significa "luogo dove si studia e si segue la via". Il Dojo Kun varia in base alla scuola e allo stile. 
Quello qui riportato si riferisce allo Shotokan
1.Il Karate è mezzo per migliorare il carattere - Hitotsu jinkaku kansei ni tsutomuru koto
2. Il Karate è via di sincerità - Hitotsu makoto no michi o mamoru koto 
3. Il Karate è mezzo per rafforzare la costanza dello spirito - Hitotsu doryoku no seishin o yashinau koto
4. Il Karate è mezzo per imparare il rispetto universale - Hitotsu reigi o omonzuru koto
5. Il Karate è mezzo per acquisire l'autocontrollo - Hitotsu kekki no yu o imashimuru koto

IL KARATE-GI  

In quasi tutte le arti marziali è uso allenarsi indossando un abito adeguato, chiamato gi (pronuncia: ghi); nel Karate, quest'abito è il karate-gi, composto da una giacca (uwagi), da un paio di pantaloni (zubon) di cotone bianco e da una cintura (obi) il cui colore designa il grado raggiunto dal praticante. Oltre al termine specifico "karate-gi", l'abito per la pratica del karate può essere chiamato genericamente "keikogi" o "dogi"; mentre completamente sbagliato, ma molto in voga, è il termine "kimono". Questa antica parola della lingua giapponese, che originariamente significava semplicemente "abito", ai nostri giorni viene usata per indicare uno specifico tipo di vestito tradizionale che nulla ha a che vedere con la pratica delle arti marziali.

KATA

Nel Kata, che significa "forma", si racchiudono le tecniche diffuse dalle varie scuole, le principali sono queste: Shito Ryu,Wado Ryu, Shotokan, Shotokai e Goju Ryu. Il Karate ha una vasta gamma di kata che si differenziano nei diversi stili. I kata possono essere visti come delle tecniche marziali prestabilite, per la maggior parte, nelle otto direzioni dello spazio. Il kata non viene considerato come un combattimento simbolico eseguito a vuoto, ma come un combattimento contro uno o più avversari. Il numero dei kata, ma anche i loro nomi e i kata stessi, cambiano in base alla scuola ("stile") che si pratica. Gli elementi fondamentali per eseguire un buon kata sono: la tecnica, kime (la breve contrazione muscolare isometrica eseguita nell'istante della conclusione della tecnica), la potenza (indicata dalla formula P=FxV dove la velocità risulta essere maggiormente incisiva della forza), l'espressività, il ritmo e la sua bellissima storia.
La parola Kata nella lingua giapponese, nell'antichità assumeva il significato di simbolo per enfatizzarne il contenuto spirituale, in seguito assunse il significato più semplice di forma: infatti il kata è un succedersi di tecniche di parata e attacco prestabilite contro più avversari immaginari e forme. Nell'esecuzione dell'esercizio riveste grande importanza proprio la qualità formale delle singole tecniche, delle posizioni e degli spostamenti.
Non ci si deve però fermare all'aspetto estetico: il kata è un vero combattimento, seppur codificato, quindi deve esprimere efficacia, sia dal punto di vista tecnico che strategico.
Per i praticanti rappresenta l'essenza dell'arte marziale perché racchiude in sé sia lo studio delle tecniche fondamentali (Kihon) che il ritmo e la tattica del combattimento (Kumite): è perciò basilare per progredire nella ricerca della Via (Dō). E, dal punto di vista strettamente tecnico, si può ben dire che studiare i Kata è studiare il Karate nella sua completezza, senza quelle limitazioni poste dal Karate agonistico: in questo senso, si può affermare con certezza che non soltanto nei Kata risiede tutto il Karate, ma che le caratteristiche di ogni singolo stile possono essere comprese appieno soltanto dallo studio dei Kata propri dello stile medesimo. Non si deve tuttavia commettere l'errore di interpretare questo assunto nel senso che uno stile è tanto più completo quanto più elevato è il numero dei Kata che in esso si praticano: non si può affermare ad esempio che lo Shito - Ryu sia uno stile migliore, più completo e più perfezionato dello Uechi Ryu, dato che quest'ultimo annovera un numero di Kata molto inferiore… Ciò che conta è non il numero di Kata presenti in uno stile, ma che in questi Kata siano rappresentati gli elementi distintivi e caratterizzanti dello stile medesimo.
L'esercizio del kata non si pratica solo nelle discipline marziali, ma in tutte quelle arti orientali che abbiano come fine il Dō: ju-dō (via della cedevolezza), ken-dō (arte della spada), kyu-dō (arte del tiro con l'arco), aiki-dō (unire l'energia), ma anche sho-dō (calligrafia), ka-dō (composizione floreale) e sa-dō (cerimonia del tè). In tutte queste discipline ci si propone di fondere, attraverso la respirazione, le componenti fisica e mentale eseguendo una predeterminata sequenza di gesti per raggiungere una più elevata condizione spirituale.
Ogni kata è composto da una serie di movimenti che ne costituiscono la caratteristica evidente, ma presenta altri elementi che sfuggono alla comprensione più immediata: i maestri che li hanno creati hanno spesso volutamente mascherato il significato di alcuni passaggi per evitare che altri se ne impadronissero. Per esempio i kata vennero mimetizzati in danze innocue, nel periodo in cui ad Okinawa vigeva la proibizione di praticare le arti marziali.
Vi sono dei punti che caratterizzano l'esecuzione di un kata nel karate. Ogni kata inizia e finisce col saluto (rei). L'inchino testimonia un mutato atteggiamento mentale dell'esecutore, che da quel momento esprime tutta la sua forza interiore. Tale stato di massima attenzione (zanshin) si evidenzia in particolare al momento del saluto e del Kiai (grido).
Tutte le tecniche devono essere sostenute dal corretto uso della respirazione e della contrazione addominale (Kime) che, in due particolari momenti esplodono nel kiai. Dimenticare il grido o eseguirlo fuori tempo è indice di emotività, ed è un errore.
I kata si sviluppano su di un tracciato determinato (embusen); se spostamenti e cambi di direzione vengono eseguiti correttamente, il punto di arrivo del kata corrisponde a quello di partenza. Ogni karateka deve individuare un tukui kata (forma preferita), scelto in funzione dell'obiettivo da raggiungere: esame, gara o miglioramento tecnico. Il tukui kata deve quindi cambiare nel tempo per le diverse fasi di evoluzione del praticante.
Lo stile Shotokan studia e codifica una trentina di Kata. Quindici di questi, considerati la base dello stile, derivano dalle modifiche apportate dal Maestro Yasutsune “Anko” Itosu, allievo del leggendario Sokon “Busho” Matsumura e a sua volta maestro di Gichin Funakoshi; si tratta, pertanto, di Kata rielaborati nei quali sono certamente visibili le connessioni con i Kata originari dello Shuri – Te, ma che tuttavia risultano profondamente diversi da questi ultimi, rappresentandone delle “stilizzazioni” di abbellimento successive e funzionali all’addestramento degli allievi.

Kata di base
  1. Taikyoku Shodan
  2. Heian Shodan
  3. Heian Nidan
  4. Heian Sandan
  5. Heian Yondan
  6. Heian Godan
  7. Tekki Shodan
  8. Tekki Nidan
  9. Tekki Sandan
Kata Superiori
  1. Bassai-dai – Penetrare la fortezza
  2. Kanku-dai – Contemplare il cielo
  3. Jitte – Dieci mani
  4. Hangetsu – Mezza luna
  5. Empi – Volo di rondine
  6. Gankaku – Gru sulla roccia
  7. Jion – (Nome di un tempio Buddista)
  8. Jiin – (Nome di un tempio Buddista)
  9. Bassai-sho – Penetrare la fortezza
  10. Kanku-sho – Contemplare il cielo
  11. Chinte – Mano straordinaria
  12. Unsu – Mani di nuvola
  13. Sochin – Forza e calma
  14. Nijushiho – Ventiquattro passi
  15. Gojushiho-sho – Cinquantaquattro passi
  16. Gojushiho-dai – Cinquantaquattro passi
  17. Meikyo – Specchio riflettente
  18. Wankan – Corona del Re
  IL BUNKAI KATA 
 
Bunkai letteralmente significa "smontare" ed indica lo studio per l'applicazione pratica delle tecniche contenute nei kata. Lo studio di esse permette di estrapolare dai kata efficaci tecniche di difesa, molto spesso proiezioni del JuJitsu e strangolamenti che sono nascoste magari all'interno di una tecnica di pugno o parata. Lo studio dei Bunkai Kata è uno dei più complessi dell'arte poiché richiede una chiave di lettura che si deve dedurre dallo stile del fondatore.

IL KUMITE

Il termine giapponese kumite viene tradotto con la parola combattimento, però tale termine è incompleto, cioè privo degli elementi compresi nel concetto di kumite. Kumite si compone della parola kumi, che significa “mettere insieme”, e della sillaba te, che significa “mano”.
Per kumite si intende quindi l’incontrarsi con le mani: nel confronto reale come in quello di palestra è necessario un avversario. Lo scopo del vero combattimento è quello di abbattere l’avversario, quello del kumite è la crescita reciproca dei praticanti. Il kumite presuppone due fasi ben distinte: l’apprendimento delle tecniche dal punto di vista formale e la loro applicazione. L’importanza che riveste la forma (kata) in funzione del combattimento è quindi fondamentale, perché racchiude le basi del karate. La filosofia del karate-do impone di migliorarsi continuamente per ricercare la massima padronanza tecnica e mentale, così da raggiungere equilibrio interiore, stabilità, consapevolezza. Per allenare il combattimento, nel senso del karate-do, vengono studiati alcuni tipi di kumite fondamentale: combattimento a cinque passi, a tre passi, a un passo, semilibero e libero.

Gohon kumite e Sanbon kumite

Il combattimento a cinque passi Gohon kumite e il combattimento a tre passi, Sanbon kumite sono le prime forme di combattimento cui viene avvicinato l’atleta. Esse hanno lo scopo di fare assimilare l’aspetto pratico e formale delle tecniche, di perfezionare calci, pugni e parate che vanno poi collegati agli spostamenti propri e a quelli dell’avversario. Distanza, (maai), e precisione sono gli aspetti che maggiormente vanno evidenziati ed appresi in tale fase.

Kihon ippon kumite

Il combattimento a un solo passo Kihon ippon kumite è la forma più essenziale di combattimento. I due atleti, posti ad una distanza corrispondente all’estensione del loro braccio, prestabiliscono l’area verso la quale indirizzeranno l’attacco: viso, tronco o bacino. Quindi alternativamente e senza finte, attaccano e parano. La relativa facilità strategica e coordinativa del combattimento a un solo passo ha lo scopo di fare emergere la massima intezione durante l’attacco e di annullare il tempo intercorrente tra la parata ed il contrattacco.

Jiyu ippon kumite

Il combattimento semilibero Jiyu ippon kumite è lo stadio preliminare al combattimento libero. I contendenti si pongono in guardia a distanza libera (normalmente però viene stabilita a tre metri), l’attaccante dichiara l’area su cui porterà la tecnica, il difensore esegue una parate libera e contrattacca. Questo tipo di allenamento è finalizzato allo studio dell’applicazione reale delle tecniche. Chi attacca deve sapere sfruttare qualsiasi apertura gli si offra, utilizzando finte e spostamenti liberi, ed entrambi i praticanti devono acquisire abilità nella respirazione e nella distanza.

Jiyu kumite

Il combattimento libero Jiyu kumite è il combattimento in cui sfociano i precedenti. In esso nulla è prestabilito, i due atleti si affrontano, esprimendo le proprie capacità tecniche e psicologiche. Elemento fondamentale rimane, però, il controllo, cioè la capacità di portare la tecnica con potenza e precisione a pochi millimetri dal bersaglio. Per poter praticare il combattimento libero questi elementi dovranno essere già stati interiorizzati perché su di essi si imperniano le scelte strategiche: parata e contrattacco (go no sen), attacco al momento della partenza dell’avversario (tai no sen), attacco sul primo movimento dell’avversario (sen no sen) e, infine, il “prima del prima” (sen sen no sen), cioè la tecnica di anticipo con intuizione.
Ad Okinawa, anticamente, il karate veniva allenato attraverso esercizi individuali. Lo studio del combattimento fondamentale si sviluppò dopo l’introduzione del karate in Giappone negli anni venti. Il combattimento libero apparve ufficialmente nel 1936, durante una manifestazione organizzata per la fondazione della Federazione Studentesca Giapponese di karate-do.
Il regolamento delle gare, e i punti assegnati per la qualità delle tecniche – wazaari, tecnica buona e ippon tecnica eccezionale – prevede l’irrogazione di diverse penalità a seconda della gravità delle scorrettezze commesse.
Nel kumite la perfetta conoscenza delle proprie qualità tecniche è essenziale, ed altrettanto lo sono la pradonanza mentale e la convinzione di combattere usando tutte le proprie risorse, come si trattasse di un combattimento per la vita o per la morte. Non è importante il numero di colpi ma la loro efficacia e la dimostrazione di dominio di sé e dell’avversario.
Il senso della distanza e la capacità di comprendere come e quando entrare o uscire dallo spazio dell’avversario introducono nel combattimento un aspetto non puramente razionale: il presentimento dell’attacco, chiamato anche “Cadenza del niente”.

PERCHÈ PRATICARE SCALZI

Un fatto importante nel karate è il fatto di stare a piedi nudi nello svolgere la lezione, questo ha motivazioni tecniche e formali, risponde ad esigenze pratiche ed è volto al conseguimento della massima efficacia.
Ragioni fisiche: il piede è ricco di ricettori tattili che permettono di conoscere la conformazione del suolo senza interventi della vista; la struttura ossea del piede è arcuata cosi da restare parzialmente sospesa sul piano di appoggio. L'adattamento alle caratteristiche del suolo viene avvertito dai recettori di tensione dei tendini e delle articolazioni: il corpo risponde cosi alla percezione dell'inclinazione e della direzione di pendenza, adeguandosi alle mutevoli necessità dello stare eretti. Fare karate significa anche imparare a flettere, estendere e ruotare il piede, adattandolo al fine di ottenere un impatto efficace sul bersaglio.
Un'altra delle ragioni che chiariscono perché i praticanti di karate tradizionale non usino protezioni ai piedi affonda le sue radici nel passato, quando i samurai divennero imbattibili nell'uso della spada, si chiesero cosa sarebbe stato di loro se fossero stati sorpresi disarmati. Di qui la necessità di imparare ad usare il corpo come un'arma e vennero sviluppate le prime tecniche a mano nuda: la loro evoluzione e quella delle forme di lotta che in esse si fusero, portò alla codificazione di sistemi di combattimento a mano disarmata sempre più complessi che scaturirono nel Jūdō, nell'aikido e nel karate (giapponese). Lo stare a piedi nudi è un segno di umiltà, rispetto e di volontà di affrontare l'allenamento con la mente vuota dalle preoccupazioni quotidiane.